Dal produttore che tenta i primi timidi approcci al Gps e alle mappe di vigore, alle cantine più tecnologiche votate alla connessione digitale completa tra vigneto, cantina e mercati attraverso app, sensori, Internet of thing e Blockchain. L’evoluzione digitale della viticoltura italiana non è un pacchetto completo prendere o lasciare, ma prevede diversi livelli di adozione, a seconda delle differenti esigenze aziendali. L’analisi di Francesco Marinello dell’Università di Padova, compiuta nell’ambito dell’Osservatorio dell’agricoltura digitale (www.agricolturadigitale.org), intreccia le diverse fasi produttive dal campo alla bottiglia, dalla difesa alla concimazione, dalla vinificazione fino ai software gestionali, rilevando tre diversi livelli di digitalizzazione:
- entry level;
- media innovazione;
- strategie altamente innovative.
Quando scatta la “molla”
Quasi sempre la “molla” che attiva la svolta digitale è la necessità di risolvere un problema specifico. Spesso si tratta di una problematica fitosanitaria o che in qualche modo ha a che fare con le conseguenze del climate change.
In questo caso le centraline meteo aziendali devono essere collegate a sistemi di supporto delle decisioni (DSS) in grado di interpretare il livello del rischio in tempo reale. I DSS disponibili consentono diversi livelli di approfondimento e stanno effettivamente diventando l’oggetto del desiderio di molti viticoltori. E al tempo stesso anche il primo passo verso la digitalizzazione delle attività in vigneto stimolando l’adozione di sensori remoti come droni o satelliti per rilevare la variabilità della vegetazione, o di sensori prossimali per rilevare la variabilità del suolo. Ma la consacrazione definitiva della viticoltura 4.0 arriverà quando da strumento di gestione dei problemi e contenimento dei costi, diventerà un vero elemento di valorizzazione. E ciò sarà reso possibile dalla diffusione dell’etichette digitali e dalla condivisione dei dati di produzione via Iot, Big Data e Blockchain.